È un trio d’archi a inaugurare la terna di recital cameristici, che connotano la programmazione musicale primaverile del Teatro Massimo Bellini. Ospite del cartellone sinfonico è il Trio Noferini, che riunisce tre fratelli, il violinista Roberto, la violista Anna e il violoncellista Andrea, figli d’arte, progenie di un direttore d’orchestra e compositore, Giordano Noferini, che è stato anche direttore dello storico Conservatorio “Giovanni Battista Martini” di Bologna. Figure di spicco del panorama strumentale italiano, tutti allievi del celeberrimo violinista Arthur Grumiaux, al quale devono la formazione di scuola belga, pur seguendo cammini paralleli non hanno mai trascurato il lavoro d’ensemble, contribuendo alla riscoperta di musicisti dell’Otto-Novecento italiano quali Marco Enrico Bossi, Mauro Giuliani, Giuseppe Martucci e Giovanni Sgambati.
Di grande pregio la locandina impaginata per il concerto etneo, che prende le mosse da un tributo per il 190° anniversario della morte di Franz Schubert, di cui saranno eseguite due pagine giovanili, i due Trii in si bemolle maggiore, D. 471 e D. 581. Il primo, scritto dal compositore viennese appena diciannovenne, è incompiuto – ne rimane solo il mirabile Allegro iniziale – e appartiene a un anno, il 1816, che Alfred Einstein ha definito come l’«anno dell’indecisione», ancora segnato dalle influenze del Classicismo di Haydn, Mozart e Salieri. Più articolato è il percorso del secondo, composto un anno più tardi, con una struttura quadripartita che, se appare ancora orientata al passato negli ultimi due movimenti, mostra un carattere più dichiaratamente sperimentale nei primi due, segnatamente sotto il profilo armonico.
Risale invece al biennio 1797-98 la composizione dei tre Trii op. 9, che Ludwig van Beethoven dedica a uno dei suoi mecenati, il conte Johann Georg von Brown. L’ultimo del gruppo, nella più fosca, eroica tonalità di do minore, appare quasi come una pagina preparatoria nella quale testare il complesso equilibrio tra i tre strumenti, in vista del ben più impegnativo cimento con il genere quartettistico. È una pagina di forte impatto drammatico, in cui la diversità di climi, instaurati dal materiale tematico, struttura una ricerca formale che esalta il virtuosismo d’insieme, fino alla rapinosa, inaspettata chiusa in maggiore.