Nostalgia dell’old, merry England. Elaborato tra le atmosfere gotiche tardo-medievali e quelle fumose della Rivoluzione industriale, è – allo stesso tempo – uno stereotipo culturale come una visione idilliaca della società britannica: soffierà sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini per l’ultimo concerto della stagione sinfonica, prima della breve pausa estiva. Sul podio dell’Orchestra dell’ente lirico etneo ritorna una bacchetta già apprezzata dal pubblico, quella di Paolo Paroni, direttore principale ospite del New York City Ballet dal 2014, che ha compiuto i suoi studi musicali a Vienna e che si è segnalato per le ampie scelte di repertorio, da esperienze crossover alla world music. Il Coro del Teatro, invece, sarà come sempre istruito da Luigi Petrozziello.
La locandina è interamente, idealmente ispirata al panorama pastorale e bucolico del countryside britannico, quale viene evocato da tre partiture scritte a cavaliere tra fine Ottocento e primo Novecento. In apertura uno dei titoli più celebri del catalogo di Benjamin Britten, la Simple Symphony, op. 4, composta nel 1934. Con la Sinfonietta e il Phantasy Quartet, di due anni precedenti, inaugura la fase giovanile dell’attività compositiva del più noto musicista inglese del Novecento, cui sarebbe arrisa fama imperitura un decennio più tardi con la creazione di Peter Grimes, destinato a rinnovare i fasti del melodramma inglese dopo oltre due secoli e mezzo di silenzio. Si tratta di una piccola gemma di pronta comunicativa, liberamente ricavata da materiale melodico elaborato da componimenti infantili dell’autore. Seguirà una pagina di rarissima esecuzione, il Te Deum and Benedictus di Edward Elgar, composto nel 1897 in omaggio all’augusta, secolare tradizione corale isolana. Dedicato a George Sinclair, è un sentito omaggio alla religione cattolica, alla quale il musicista era stato educato sin da bambino: per questo costituisce un unicum nella produzione inglese, peraltro improntato più a un trionfalistico clima di trionfo bellico che ai toni di una preghiera cristiana.
Suggella questo itinerario insulare la Sinfonia in fa maggiore, op. 8, intitolata ‘The Cotswolds’ perché ispirata dall’aprico panorama delle omonime colline della zona centro-meridionale dell’Inghilterra, dove il musicista aveva trascorso un anno della sua giovinezza. Vicina al sinfonismo di fine secolo (da Brahms a Čajkovskij, da Grieg a Dvořák) e improntata a un suggestivo descrittivismo, la Sinfonia contiene anche un elegiaco ricordo in musica di William Morris, raffinato artista e scrittore socialista scomparso nel 1896, tra i fondatori del movimento Arts & Crafts. È, insomma, sintesi di quell’Inghilterra iconica fatta di thatched cottage, country inn e Sunday roast (le capanne col tetto di paglia, le locande di campagna e l’arrosto domenicale), forse mai esistita, se non nella dimensione visionaria del mito.