La Serva padrona di Giambattista Pergolesi è una piccola opera buffa di appena quarantacinque minuti che viene rappresentata ogni sera da una compagnia di giovani allievi, cantanti e orchestrali del Liceo Musicale Vincenzo Bellini di Catania quando cala il sipario sul dramma della monacazione forzata de La Capinera. Il caso ha voluto che la lodevole iniziativa che mette insieme le due maggiori istituzioni musicali catanesi, il Liceo- conservatorio Bellini e il teatro Massimo, con l’obiettivo di promuovere i giovani artisti in formazione, fosse accostata al melodramma “moderno” La Capinera di Bella-Mogol. Ma come spesso succede, ciò che avviene per caso non è affatto privo di significato. La Serva padrona, nata a Napoli come intermezzo delle opere serie, si era poi affermata in Francia ad opera di una giovane compagnia di artisti italiani, che introducevano nel teatro musicale la tradizione della Commedia dell’arte, poco più di trenta anni prima della Rivoluzione giacobina. Fa una certa impressione che oggi per una casuale coincidenza, mentre in Francia si alzano le barricate, dei giovani musicisti riprendano il tema universale dei servi che aspirano a diventare padroni.
Giambattista Pergolesi aveva appena ventidue anni, era nato a Jesi nel 1710, quando compose La serva padrona come breve intermezzo buffo in due atti che doveva essere rappresentato a Napoli nel 1733 in occasione del dramma per musica in tre atti Il Prigionier superbo. Il breve intermezzo riscosse subito maggior successo del dramma serio di cui costituiva l’intermezzo. Ma la sua vera fortuna, che la consacrò come la migliore composizione del genere, avvenne a Parigi nel 1752. Pergolesi era già morto nel 1736, ad appena ventisei anni, di lui si ricordavano la bellezza apollinea e i tragici amori, e mai avrebbe potuto immaginare che la sua opera avrebbe creato un caso memorabile in Francia.
La serva padrona, rappresentata nella Reggia di Versailles, animò la famosa Querelle des Bouffons, una disputa che divise gli intellettuali e la cultura musicale parigina fra i sostenitori dell’opera tradizionale francese e la rinata musica barocca italiana che anticipava il romanticismo, sia musicalmente, sia nella relazione psicologica dei personaggi. Fra i sostenitori di Pergolesi pesò il giudizio di Rousseau, che vantò la composizione come “naturale e piacevole”, e quello dei suoi amici Enciclopedisti che colsero nell’opera italiana una maggiore aderenza alla vita nei suoi variegati aspetti e quindi un’energia innovativa. La composizione musicale italiana poteva, senza rigidi schemi, passare dal comico al brillante, al drammatico e finanche al patetico, ed essere per questo accettata e apprezzata da un pubblico più vasto.
Ancora oggi l’opera di Pergolesi gode di una vasta popolarità ed è rappresentata nei maggiori teatri del mondo, oltre a essere diventata perfino colonna sonora di molti film. Al di là dei pregi e delle innovazioni della musica che colpirono i contemporanei (tanto che uno dei più grandi geni della composizione, Johann Sebastian Bach riprese lo Stabat Mater di Pergolesi in un suo Salmo), La serva padrona rivelò subito la sua carica esplosiva nei confronti dei temi sociali tanto che Mozart, che aveva assistito alla messa in scena di molte composizioni di Pergolesi, nel Don Giovanni fa cantare a Leporello rivolto al suo padrone “non voglio più servir”. Da quei lontani anni in poi, La Serva padrona continua a mantenere alta la sua popolarità anche per la leggerezza della trama, semplice ma non superficiale, allegra ma anche commovente nella sua frizzante malizia. Una storia all’apparenza banale, come potrebbe sembrare dal titolo, ma che rivela profondi significati. Tre personaggi muovono la vicenda: un attempato e ricco signore borghese scapolo, una servetta che lui stesso ha cresciuto in casa, e un servitore muto e sciocco solo all’apparenza. Una situazione in cui ancora oggi si può rispecchiare l’intreccio fra condizione sociale, danaro, seduzione erotica e convenzioni, che a distanza di trecento anni – e forse sempre – sono gli elementi che governano la relazione fra gli uomini… e le donne. Con alla fine un matrimonio che trasforma un padrone in servo e due servi in padroni.
Ezio Donato, regista dell’opera