«Non si terminerà il carnevale senza che tutti se ne innamorino, non passerà un anno che sarà cantata dal Lilibeo alla Dora e fra due anni piacerà in Francia e farà meravigliar l’Inghilterra. Se la disputeranno gl’impresari e più ancora le prime donne.» Con questa folgorante profezia Gioachino Rossini, all’indomani del contrastato debutto romano de La Cenerentola, riaffermava la sua incrollabile fiducia sul futuro dell’ultimo capolavoro buffo scritto per l’Italia, appena un anno dopo il celeberrimo Barbiere di Siviglia. Ventesimo titolo del catalogo lirico del Pesarese, La Cenerentola ossia La bontà in trionfo ritorna sulle scene del Teatro Massimo Bellini di Catania, in una nuova produzione, a distanza di tredici anni dall’ultimo allestimento.
Opera amatissima dal grande pubblico, La Cenerentola si fonda sulla drammaturgia del librettista Jacopo Ferretti, letterato e intellettuale tra i più raffinati dello Stato pontificio ai primi dell’Ottocento, che proprio grazie a questo testo dà prova di un’originalità di tratti destinata a compiacere le consuetudini romane dell’epoca. Per questo manca qualsiasi riferimento alla «fantasmagoria», agli elementi magici che avevano caratterizzato la più celebre versione barocca di Charles Perrault, per farne «una storiella accanto al fuoco», un racconto declinato con grazia malinconica e sognante. Composta – leggenda vuole – in appena ventiquattro giorni, la partitura segna il punto di massimo sviluppo delle strategie del comico rossiniano, inarrivabile nei concertati ‘di stupore’ che punteggiano l’opera, dal Finale del primo atto a quello intermedio del secondo.
«Questa Cenerentola è un omaggio a Catania e al Teatro Bellini», affermano Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, già noti al pubblico etneo per la ripresa di Manon Lescaut nel 2017, e da allora impegnati a firmare spettacoli lirici ‘a quattro mani’. «I luoghi simbolo della città, cari ai catanesi, la bellezza dei suoi monumenti, i suoi colori lavici e marini faranno da sfondo all’intera vicenda», anticipano infatti i due artisti, autori anche dell’impianto scenico dello spettacolo, che si avvale dei video di Patrick Gallenti e dei costumi selezionati da Giovanna Giorgianni.
Di grande spolvero l’intera distribuzione vocale, che fa affidamento sulla più giovane generazione di specialisti rossiniani del momento. Nel ruolo del titolo figura la senese Laura Polverelli, che vanta una formazione d’eccellenza al seguito di Carlo Bergonzi e Alfredo Kraus, e che si è già esibita in questo e in altri titoli rossiniani alla Scala come alla Fenice, al Rossini Opera Festival come a Seattle. Le faranno da corona il tenore spagnolo David Alegret, che ha già debuttato ben otto titoli del catalogo del musicista pesarese; e nei due ruoli buffi il vicentino Luca Dall’Amico, artista prediletto da Riccardo Muti, e il palermitano Vincenzo Taormina, reduce dal recente trionfo al Massimo della sua città proprio con il ruolo del più celebre barbiere della storia del melodramma. Merita una menzione, con l’Alidoro di Marco Bussi, l’impegno di due artiste catanesi, Manuela Cucuccio e Sonia Fortunato, nei panni delle due arcigne quanto irresistibili sorellastre.
Sovrintende alle sorti dello spettacolo la bacchetta di José Miguel Pérez-Sierra, uno tra i direttori più importanti della sua generazione. Nato a Madrid, si è specializzato tra gli altri con Claudio Arrau e Gianluigi Gelmetti ed è stato assistente prima del compianto Alberto Zedda, al Centro di perfezionamento del Palau de les Arts di Valencia, quindi di Lorin Maazel. Non c’è da sorprendersi, dunque, se ha spiccato un volo – essenzialmente rossiniano – che lo ha portato a dirigere, negli ultimi mesi, L’Italiana in Algeri, Matilde di Shabran, La donna del lago, Tancredi, Il barbiere di Siviglia e L’equivoco stravagante. Tutto è dunque pronto per una grande festa rossiniana, con cui suggellare l’anno, nel segno del trionfo della bontà e del perdono.