Matteo Levaggi rilegge La bella addormentata di Čajkovskij
Pioggia di tremila rose al Teatro Massimo Bellini, dove approda la nuova creazione del Teatro Massimo di Palermo firmata dal coreografo Matteo Levaggi
Nel balletto un’ardita interpretazione contemporanea in cui si fondono suggestioni che vanno da Walt Disney ai film American Beauty e Maleficent
Sul podio dell’Orchestra del Bellini la bacchetta russa doc di Mikhail Agrest
CATANIA. Il classico dei classici del balletto, La bella addormentata di Čajkovskij, dopo tre anni di assenza ritorna sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini di Catania in una nuova, sorprendente coreografia firmata da Matteo Levaggi, che ne propone un’ardita interpretazione contemporanea non priva di effetti speciali: su tutti la pioggia di tremila rose bianche, a conclusione del brano più celebre dell’intera partitura, l’Adagio della rosa. Una creazione che vede impegnato il Corpo di ballo del Teatro Massimo di Palermo in uno spettacolo raffinato e poetico che, dopo il debutto palermitano dello scorso dicembre, approda al Teatro Bellini di Catania, dove sarà in scena dal 9 al 14 ottobre: «un sogno in cui mondi ed epoche diverse si incontrano in totale libertà creativa», come ha dichiarato lo stesso Levaggi. Dopo il successo della Traviata del marzo scorso, presentata in un allestimento palermitano dovuto a Mario Pontiggia, il Teatro Massimo Bellini di Catania rinnova così la fruttuosa collaborazione con il Massimo teatro del capoluogo isolano, con cui ha avviato una sinergia particolarmente significativa sotto il profilo artistico e produttivo.
Il balletto. Composto nel biennio 1888-1889 su commissione del direttore dei Teatri imperiali di San Pietroburgo, Ivan Vsevolozhkij, La bella addormentata è il secondo balletto scritto da Pëtr Il’ič Čajkovskij, che aveva già licenziato Il lago dei cigni nel 1877. Il nuovo titolo, tuttavia, si inserisce in un più vasto progetto, di ampio respiro internazionale, che avrebbe rivoluzionato la storia del balletto narrativo nell’ultima decade dell’Ottocento. In forze al Teatro pietroburghese, infatti, era arrivato l’astro di Marius Petipa, coreografo marsigliese e grande protagonista delle scene teatrali francesi, dove si era affermato come interprete privilegiato di due grandi classici, Giselle e La Fille mal gardée. È tuttavia nella città russa che Petipa acquista una fama imperitura quando, nel 1862, assume il ruolo di coreografo della Fille du Pharaon, basata su un racconto di Théophile Gautier: nominato maître de ballet della compagnia, viene di fatto incaricato della gestione del Balletto imperiale. Dal 1869 vedono, tra gli altri, la luce Don Chisciotte, e La Bayadère (1877), titoli con cui si afferma il genere del balletto à grand spectacle. Sarà tuttavia la collaborazione con Čajkovskij, che prende l’abbrivio proprio con la creazione della Bella addormentata, a rivoluzionare la danza fin de siècle.
Si deve a Vsevolozhkij, appassionato cultore del barocco francese, la scelta del soggetto del nuovo balletto, liberamente tratto da una delle più celebri fiabe di Charles Perrault, La bella addormentata, per la prima volta pubblicata nel 1697 nei Contes de ma mère l’Oye, i Racconti di Mamma oca, un’antologia che raccoglie undici titoli entrati a far parte della letteratura per bambini, tra cui Cappuccetto rosso, Barbablù, Pollicino, Cenerentola e Il gatto con gli stivali. Su uno spunto narrativo tutto sommato esile, l’impresario immagina da una parte un tributo al balletto di corte del XVII secolo e, dall’altro, un omaggio al padre della fiaba francese: il grande divertissement dell’ultimo atto, in cui si celebrano le nozze tra Aurora e il principe Désiré, diventa infatti il pretesto per portare sulla scena i personaggi di alcune fiabe di Perrault, prima dell’incantevole pas de deux conclusivo.
Si tratta di un impegno produttivo di formidabile valenza internazionale: ben quattro scenografi vengono impegnati per illustrare il prologo e i tre atti dell’azione, mentre sarà lo stesso Vsevolozhkij a firmare i costumi indossati, tra gli altri, dall’italiana Carlotta Brianza, che veste i panni di Aurora accanto al russo Pavel Gerdt, che è Désiré; sul podio dirige il compositore Riccardo Drigo. La prova generale – di fatto la prima – ha luogo al Mariinskij di San Pietroburgo il 15 gennaio del 1890 alla presenza dello zar Alessandro III, che si degnerà di definire «Molto grazioso» lo spettacolo. Lo schiaccianoci, meno di tre anni più tardi, avrebbe coronato l’ambizioso progetto artistico.
La fortuna del balletto. Trascorrono appena sei anni perché La bella addormentata cominci il suo fortunato cammino sui teatri di tutto il mondo: la Brianza, infatti, fa rappresentare la versione originale di Petipa al Teatro alla Scala di Milano l’11 marzo del 1896, in un nuovo allestimento di Giorgio Saracco, mentre già nell’ultimo anno del secolo il Bol’šoj di Mosca ne propone una nuova versione, immaginata da Aleksandr Gorskij. Agli inizi del nuovo secolo, saranno i Ballets Russes di Sergej Djagilev a fare conoscere la lussureggiante partitura di Čajkovskij in Occidente in una nuova, strepitosa edizione con le scene di Léon Bakst, in prima all’Alhambra Theatre di Londra nel 1921; ancora, all’indomani del dopoguerra, La bella addormentata è il primo titolo che viene messo in scena a Londra dal Sadler’s Wells Ballet, nella nuova versione firmata da Frederick Ashton, così ponendo le basi della blasonata compagnia del Royal Ballet di Londra. Ma è appena il caso di ricordare come, negli ultimi quarant’anni, la storia della ricezione del balletto si sia arricchita di plurime versioni: tra le altre, basterà citare quella di Maurice Béjart, Ni fleures ni couronnes, nel 1971, o ancora quella di John Neumeier per l’Hamburg Ballett, in cui una giovane fanciulla in jeans rivive l’intera vicenda in stato di allucinazione. Ancora, Roland Petit nel 1990 fa ruotare l’azione intorno alla presenza della moglie, Zizi Jeanmaire, che fa della strega cattiva Carabosse un’autentica dark lady, mentre sei anni più tardi Mats Ek, con il Cullberg Ballet, immagina che Aurora si ‘punga’ non già con una rosa, ma perché innamorata di un ragazzo drogato con cui concepisce un figlio… Una storia fatta di suggestive riletture, che però non hanno impedito ad Alexei Ratmansky, nel 2015, di firmare una ripresa filologica dell’allestimento originale russo per la compagine dell’American Ballet Theatre.
La nuova coreografia di Matteo Levaggi. Arriviamo così al dicembre del 2017, quando Matteo Levaggi, nominato compositore in residenza dell’anno al Teatro Massimo di Palermo, firma una nuova, intrigante rilettura del testo: «nella piena consapevolezza della storia di questa antica favola riscritta nell’Ottocento per punte e tutu», annota Elisa Guzzo Vaccarino, ma con una singolare apertura al mondo delle arti performative contemporanee.
Formatosi con Liliana Cosi, quindi al Teatro alla Scala e al Bol’šoj di Mosca, Levaggi muove i suoi primi passi come ‘costruttore di movimenti’ al Balletto Teatro di Torino, dove viene nominato coreografo residente dal 2000 al 2013. Ma sono molte le sollecitazioni acquisite nel corso dell’ultimo ventennio, quando si accosta al recital teatrale (Memorie di Adriano, con Giorgio Albertazzi) come alla televisione (Carràmba!, con Raffaella Carrà), alla danza accademica di Karole Armitage (come protagonista di Yo, Giacomo Casanava), come al cinema, con il regista Davide Ferrario per il recente Sexxx, che ottiene il premio “Il coreografo elettronico” di Napoli.
Nuovo è, dunque, l’approccio di Levaggi al capolavoro di Čajkovskij, perché «pur essendo riconoscibile il soggetto originale del balletto – prosegue la Guzzo Vaccarino, in un testo che si può leggere anche nel programma di sala – questo viene però sviluppato in tre modi diversi per i tre atti che lo compongono: il prologo e l’atto I hanno carattere spiccatamente narrativo; l’atto II è invece spoglio, essenziale, quasi plastico e vede i protagonisti molto intimi e vicini nel momento del loro incontro; l’atto III è gioiosamente festoso e ha un’atmosfera d’impronta chiaramente disneyana. A questi tre punti di vista così diversi tra loro rimanda la scelta di alternare momenti danzati in punta ad altri danzati in mezzapunta e a piedi nudi, nell’ottica del coreografo di creare un nuovo vocabolario che attinga alla tradizione della danza classica, della danza moderna e di quella contemporanea.» Non ci si stupirà dunque dei richiami cinematrografici, da American Beauty al recentissimo Maleficent, con Angelina Jolie nei panni della strega malvagia.
Gli interpreti principali. Nella nuova creazione di Levaggi, dunque, i personaggi evidenziano nuovi, inediti aspetti: la piccola Aurora (Romina Leone, secondo cast Yuriko Nishihara) è un’orfana, libera e intraprendente come una ragazza contemporanea, che vive in un incantevole palazzo con un paggio (Alessandro Cascioli, secondo cast Giovanni Traetto): sul fondo della scena, disegnata da Antonino Di Miceli, campeggiano due troni vuoti – e fors’anche una culla vuota, al proscenio. Vuole decidere liberamente della propria vita, senza bisogno di una Fata: per questo si addormenta, pungendosi con un mazzo di rose, in un universo in cui le fate sono boccioli di fiori. Tutt’intorno molti personaggi en travesti: non soltanto la Fata Carabosse, come da tradizione (Vincenzo Carpino, poi Riccardo Riccio), ma anche quella dei Lillà, interpretata da Andrea Mocciardini. Il principe è Michele Morelli (secondo cast Alessandro Cascioli), in un cast che assembla i più validi elementi del Corpo di ballo del Massimo di Palermo, impegnati e complici in quest’intenso percorso creativo. Particolarmente originali i costumi, con tocchi di ironica originalità nel divertissement dell’ultimo atto, realizzati dagli allievi del Master di Costume dell’Accademia Costume & Moda di Roma, coordinati da Andrea Viotti.
Il sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo Francesco Giambrone sottolinea «l’importanza di questa collaborazione, che vede il Corpo di ballo del Teatro Massimo– unico corpo di ballo di una fondazione lirica attivo a Sud di Napoli e uno dei quattro rimasti attivi in Italia dopo la chiusura di molte importanti e prestigiose compagnie in tutto il paese –impegnato non solo nella città di Palermo. Penso che sia giusto che i corpi di ballo delle fondazioni liriche rimasti attivi debbano rappresentare una risorsa non solo per il teatro a cui appartengono ma per l’intero territorio, contribuendo così a promuovere la cultura della danza e del balletto non solo nella città in cui si trovano ma in una zona più vasta. La collaborazione con il Teatro Massimo Bellini di Catania è una naturale estensione della relazione con questo teatro e si iscrive in un progetto più ampio, che vedrà sempre di più il nostro Corpo di ballo impegnato anche al di fuori della programmazione del nostro teatro. Questa è la conferma di una precisa scelta che il Teatro Massimo ha fatto, ritenendo il Corpo di ballo, al pari delle altre compagini artistiche, un pilastro fondamentale della sua programmazione, del suo progetto culturale e della sua struttura di produzione culturale. Si tratta anche del primo momento di ulteriori collaborazioni tra il Teatro Massimo e il Teatro Bellini, alle quali stiamo lavorando con il sovrintendente Grossi e che non si limiteranno a coinvolgere il Corpo di ballo. Stiamo lavorando in un’ottica di sinergia e di collaborazione a livello regionale».
Sulla stessa lunghezza d’onda il sovrintendente del Teatro Massimo Bellini di Catania, Roberto Grossi: «Fare rete e circuitare nell’isola la grande lirica e la grande danza è alla base della sinergia, sempre più stretta, avviata da tempo tra il Bellini e il Massimo di Palermo: un obiettivo tanto concreto quanto ambizioso che stiamo focalizzando con il sovrintendente Francesco Giambrone per tradurlo in azioni coordinate, al servizio di un più vasto pubblico di residenti e turisti. Non si tratta solo di scambiarsi reciprocamente le produzioni, ma di realizzare spettacoli da portare in tour nel territorio regionale, andando avanti nella via intrapresa allestendo insieme nel 2016 “La Traviata” al Teatro Antico di Taormina. Una via che potrebbe portarci lontano, oltre lo Stretto, o addirittura all’estero, per farci ambasciatori dell’eccellenza siciliana. Per quanto riguarda in particolare La bella addormentata, voglio rendere onore al merito del Massimo palermitano per la capacità e la volontà di mantenere tra i suoi complessi artistici un Corpo di ballo di qualità, autentica rara avis in un panorama nazionale in cui l’arte di Tersicore ha più che mai bisogno di essere valorizzata e sostenuta».
«Quando la cultura e lo spettacolo riescono ad abbracciare diversi territori non si può che plaudire e incoraggiare operazioni del genere. Esprimo, a nome mio e dell’intero governo regionale, il vivo apprezzamento per questa virtuosa sinergia tra il Massimo di Palermo e il Bellini di Catania per mettere in scena nei rispettivi palcoscenici uno spettacolo che è fiore all’occhiello del Corpo di Ballo del Teatro Massimo. Uno spettacolo che sarà all’altezza delle aspettative e che porterà sia a Palermo sia a Catania l’eccellenza della nostra terra», lo ha detto l’assessore regionale allo Spettacolo Sandro Pappalardo.
Bacchetta russa doc, infine, sul podio dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania, su cui salirà Mikhail Agrest, che è nato e ha studiato a San Pietroburgo con il leggendario Ilya Musin, docente – tra gli altri – di Valerij Gergiev, Yuri Temirkanov e Semyon Bichkov. Diplomato in violino all’Indiana University di Bloomington, ha lavorato per oltre dieci anni al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, che ha diretto nel corso della tournée al Metropolitan di New York con La leggenda della città invisibile di Kitež di Rimskij-Korsakov. Ha riscosso un successo personale dirigendo l’orchestra del Royal Opera House, Covent Garden, di Londra, in tre produzioni di danza, Le Sacre du Printemps, Les Noces e Romeo e Giulietta.
Il programma di sala. Realizzato con il coordinamento scientifico-musicologica del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, il programma di sala si avvale del progetto d’identità visiva realizzato dalla Scuola di graphic design dell’Accademia di Belle Arti di Catania. È, come sempre, una guida indispensabile per la comprensione dello spettacolo, ma anche uno strumento di gradevole lettura per lo spettatore: in apertura, infatti, è possibile leggere la fiaba di Perrault nella godibilissima traduzione toscaneggiante di Carlo Collodi. Oltre alle consuete rubriche, contiene tra l’altro un inquadramento storico-critico di Elisa Guzzo Vaccarino, eminente studiosa della danza; e un’intervista a Matteo Levaggi e a Marco Bellone, coordinatore del Corpo di ballo palermitano, a cura di Alessandro Pontremoli, docente di Discipline dello spettacolo nell’Università di Torino.