CATANIA – La stagione sinfonica del Teatro Massimo Bellini prosegue venerdì
24 gennaio 2020, ore 20.30 (Turno A), con replica sabato 25 ore 17.30 (Turno B). A dirigere l’Orchestra del Bellini sarà la prestigiosa bacchetta di Hirofumi Yoshida, oboe solista Francesco Di Rosa, virtuoso di chiara fama. Di notevole appeal il programma che prevede nella prima parte il poema sinfonico Prometheus di Franz Liszt e il Concerto per oboe e orchestra di Frigyes Hidas, mentre la seconda sarà dedicata alla Quarta sinfonia di Sergej Prokof’ev.
Come sottolinea la studiosa Valeria Mannoia nelle note di sala, nella storia della musica occidentale la revisione o la riscrittura di opere già composte è sempre stata parte di una prassi codificata. Se in alcuni casi l’autore poteva scegliere di inserire delle semplici autocitazioni, in altri la riappropriazione integrale di un’opera precedente sembrava rispondere a necessità più profonde.
Nella sua lunga carriera Franz Liszt (1811-1886) ritornò più volte su alcuni lavori per dar loro nuova vita. Ciò interessò particolarmente le composizioni per grande orchestra, che furono oggetto di lunghe riflessioni e riformulazioni. Il poema sinfonico Prometheus fu concepito come una breve ouverture strumentale per il dramma Der entfesselte Prometheus di Johann Gottfried Herder; Liszt iniziò a lavorarvi nel 1850 a Weimar, dove aveva assunto l’incarico di Kapellmeister di corte.
L’ouverture e l’orchestrazione degli otto cori furono commissionate a Liszt in occasione dei festeggiamenti per il 106° anniversario della nascita del teologo, che era stato sovrintendente generale del clero alla corte di Weimar tra il 1776 e il 1778. Liszt cercò di reinterpretare il testo originale e chiese a Richard Pohl una nuova versione da far recitare a un narratore esterno e da adoperare come trait d’union tra i diversi numeri corali, trasformando di fatto il dramma herderiano in un grande oratorio profano. Tra il 1852 e il 1854 i tratti fondamentali della breve ouverture furono trasformati e ampliati in un poema sinfonico, che venne eseguito il 18 ottobre 1855 a Brunswick sotto la direzione dello stesso compositore.
Non diversamente da quanto accadde al Prometheus – osserva ancora la Mannoia – la Sinfonia n. 4 op. 112 di Sergej Prokof’ev (1891-1953) fu il risultato di un profondo processo di rielaborazione creativa che durò circa vent’anni. Prokof’ev realizzò di fatto due versioni della stessa sinfonia: l’op. 47, composta tra il 1929 e il 1930, e la sua revisione, l’op. 112, che fu completata nel 1947 dopo il rientro dell’autore in Unione Sovietica. La stesura dell’op. 47 fu immediatamente successiva alla composizione del balletto Le Fils prodigue. Le affinità tra le due opere sono evidenti. Ma mentre il balletto godette di un buon successo di pubblico, la sinfonia non ebbe la stessa fortuna. La critica, specialmente sovietica, fu severa nei riguardi dell’opera, che venne recepita come uno dei primi segnali della crisi creativa dell’autore. Nonostante le critiche, era evidente che tanto in Le Fils prodigue che nella sinfonia affiorava già quell’idea di “nuova semplicità” che Prokof’ev avrebbe formalizzato nel 1934.
Gli esiti conseguiti dalle Sinfonie n. 5 op. 100 e n. 6 op. 111 in termini di rigore e solennità suscitarono nell’autore un senso di insoddisfazione e lo indussero a tornare sui propri passi e a revisionare la Quarta Sinfonia nella sostanza e nella struttura. Nonostante la speranza di Prokof’ev di riscattare la propria sinfonia dai giudizi negativi della critica, essa fu tacciata di estremo formalismo e la sua prima esecuzione in Unione sovietica avvenne solo nel 1957, dopo la morte dell’autore.
La carriera artistica del giovane pianista Frigyes Hidas (1928-2007) iniziò nel 1951 con la composizione del Concerto per oboe e orchestra in re maggiore, considerato oggi una delle opere strumentali più rappresentative del repertorio ungherese contemporaneo. In realtà, Hidas scrisse il concerto per il suo esame finale di composizione presso l’Accademia Franz Liszt di Budapest e ciò potrebbe giustificare la sua grande attenzione al rispetto dei modelli formali. Il concerto valse al giovane compositore il premio Erkel, che gli venne conferito nel 1959 e lo collocò tra i musicisti più rappresentativi della scuola ungherese contemporanea.