«A mio modo di vedere è un capolavoro, una delle rare opere destinate a riflettere tutte le tendenze musicali della nostra epoca. Bizet è un compositore che paga un tributo al suo secolo e al mondo contemporaneo, ma che è anche animato da ispirazione autentica. Carmen sarà l’opera più popolare al mondo». Con queste profetiche parole, nel luglio del 1880, Pëtr Il’ič Čajkovskij sintetizzava l’impressione di ammirazione e di profondo turbamento suscitato dall’ascolto dell’opéra-comique di Georges Bizet, autentico terremoto nella storia del teatro musicale, opera tanto rivoluzionaria, al suo primo apparire il 3 marzo del 1875, quanto cara alle platee internazionali, fino ai nostri giorni.
Ispirata all’omonimo racconto lungo di Prosper Mérimée, pubblicato nel 1845, Carmen per la prima volta illustra un nuovo ideale femminile, quello della gitana libera e sensuale, dal carattere latino e appassionato: un personaggio di cui si mostra particolarmente avido il pubblico fin de siècle, che ne scoprirà le molteplici sfaccettature di femme fatale, donna emancipata, icona di una mediterraneità prorompente e fin quasi selvaggia. Rispondeva, peraltro, al perentorio comando di Friedrich Nietzsche, «Bisogna mediterraneizzare la musica», che nel 1881 rilevava un’insanabile frattura tra la produzione musicale del Nord Europa, sintetizzata dalle pulsioni di morte messe in musica da Wagner, e la sorgiva spontaneità di un Meridione, che considerava come l’unico antidoto al filtro di Tristan und Isolde. Per Bizet, peraltro, si trattava della prematura conclusione di un percorso, avviato nel 1863, che prediligeva il filone esotico (dall’India dei Pêcheurs de perles all’Oriente di Djamileh, passando attraverso la Provenza dell’Arlésienne), qui coniugato alle prime istanze dell’incipiente movimento verista. Sullo sfondo di una Spagna dalle tinte sgargianti, minutamente descritta a partire dall’Habanera che costituisce la sortita della protagonista, la conturbante figura della gitana si staglia su quelle dei suoi spasimanti, il brigadiere don José e il torero Escamillo, e soprattutto della liliale Micaëla, frutto dell’immaginazione dei librettisti dell’opera, Henri Meilhac e Ludovic Halévy.
Per questo ogni ripresa di Carmen costituisce un evento: come l’odierna ripresa catanese, otto anni dopo l’ultima edizione, che aveva inaugurato la stagione del 2012. L’occasione sarà propizia per il ritorno sul podio di Fabrizio Maria Carminati, che negli ultimi anni il pubblico catanese ha apprezzato per le sue interpretazioni belliniane dei Puritani e di Adelson e Salvini, e che dal gennaio scorso è il nuovo direttore artistico del Teatro. Diplomato in pianoforte e in direzione d’orchestra, Carminati ha debuttato al Teatro Regio di Torino nel 1993; è stato direttore artistico del Teatro Donizetti di Bergamo (2000-2004), quindi dell’Arena di Verona (2004-2006), primo direttore ospite dell’Opéra di Marsiglia (2008-2015) e direttore ospite del Teatro Verdi di Trieste, dal 2018 a oggi. Vanta un repertorio che spazia dal belcanto italiano, che lo ha visto eccellere nei titoli donizettiani, al primo Novecento italiano e tedesco, e una discografia in cui figurano, tra l’altro, ben due edizioni di Maria Stuarda e una di Norma.
La nuova produzione catanese dell’opera si avvale di un cast internazionale. Per il ruolo del titolo è stata invitata Anastasia Boldyreva, al suo debutto catanese. Allieva del prestigioso Conservatorio Čajkovskij di Mosca e poi di Bernadette Manca di Nissa, al Maggio Musicale Fiorentino, ha cantato il personaggio della gitana con Daniel Oren all’Arena di Verona nel 2016, facendovi ritorno anche in Aida di Verdi. Al suo fianco, nel ruolo di José, l’uruguayano Gaston Rivero, che ha debuttato nel 2002 nella produzione della Bohème di Baz Luhrmann a Broadway; affronta un repertorio da lirico spinto, che lo ha visto esibirsi, negli ultimi anni, in Turandot a Bari e Padova, Don Carlo e Otello a Essen. Specialista del repertorio rossiniano, Simone Alberghini, già vincitore del prestigioso Concorso Operalia nel 1994, vestirà i panni di Escamillo, mentre è previsto il gradito ritorno di Daniela Schillaci, reduce dai recenti trionfi verdiani a Cagliari in Attila e Macbeth, nei panni della trepida Micaëla.
Firma la regia del nuovo allestimento scenico Luca Verdone, anche autore delle scene, che per l’occasione si propone di affrontare una lettura caratterizzata «dalla semplificazione e dalla chiarezza», un lavoro per sottrazione che limita gli elementi scenici a «un valore pittorico indicativo» per lasciare ai protagonisti del dramma la centralità della scena. L’obiettivo è quello di esaltare il potere della musica, di sentimenti, passioni e contraddizioni dei personaggi che saranno al centro di una visione «sinceramente mediterranea» dell’opera, rafforzata «dalla luce calda della terra siciliana». Un progetto che, peraltro, non elude il sanguinoso explicit dell’azione, un femminicidio che appare come «ultimo atto di una vita irrisolta», e che intende far riflettere sul concetto dell’onore maschile, gesto estremo di inconciliabili prospettive di vita.